Il Sabato Santo, un segno del nostro tempo – Pasqua 2014
 
«I Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio».
(1 Cor, 22-24).
 
Noi non riflettiamo mai abbastanza sull’importanza della storia che, in un certo senso ci ha preceduti in una situazione o nell’altra, ma la storia – come diceva Cicerone – è “magistra vitae”. Croce, dal canto suo, in un momento di grande sconforto, commentava questa espressione quale sentenza “infelicissima” dal momento che la storia non insegna nulla a nessuno. Gli uomini, in qualsiasi periodo della storia, e nonostante che la storia dovrebbe istruirli su molte cose, continuano a fare e ad essere come sempre e fin dalla nascita dell’homo sapiens: sciocchi, egoisti, nemici l’uno dell’altro, sfrenatamente ambiziosi di primeggiare su tutti e anche a costo di provocare disastri a loro stesso danno. Dunque, la storia è realmente “magistra vitae”? No, non lo è per tutti. Lo è soltanto per chi ha votato la sua vita a grandi valori, per chi sa scegliere tra il bene e il male, per chi soprattutto sente nella propria anima che la vita è un bene preziosissimo e fragilissimo che si può perdere da un momento all’altro. Per questa ragione, la storia è così importante e decisiva per coloro che non hanno venduto la propria anima ai beni effimeri che gli uomini si promettono l’un l’altro e che mai mantengono.
Questo tipo di uomini, fortemente segnati dall’idealismo della vita, sono dotati di una sorta di “sesto senso” che permette loro di capire che la storia è un fatto indispensabile per comprendere il presente. È questo il lavoro creativo dei veri storici: guardare gli eventi in profondità, cogliendone la logica interna e scandagliando, meticolosamente, la veridicità o meno delle “fonti”, ma sempre con un certo sguardo rivolto ai problemi del presente che sono figli della storia precedente. E figli per molto, molto tempo. La storia, ai loro occhi, - come avevano ben intuito Machiavelli e Guicciardini – non è fatta di grandi eventi militari, diplomatici, politici, e così via, ma soprattutto di giochi di potere, tattiche meschine, lotte egoistiche e perfino distruttive. In questa prospettiva, gli “idealisti” sono visti come semplici comparse di un teatro più vasto che non li riguarda, ed anzi che non li deve riguardare, poiché i giochi del potere e della forza sono più decisivi e incisivi di tutti i possibili ideali. La vita è una giungla e vincono sempre i più forti. Non c’è altro da dire. Così, perfino le persone più semplici, sprovvedute e povere, che mai potranno raggiungere posti di un qualche rilievo – non avendo a disposizione gli aiuti necessari per emergere dalla massa indistinta – sono in adorazione di questo “vitello d’oro”, di quest’idolo del potere e della forza, che li attrae irresistibilmente e oltre ogni logica. Disprezzano gli “idealisti” che pensano di cambiare il mondo della vita con i mezzi della persuasione e della pacifica comunicazione dei diritti dell’anima, e li considerano piuttosto dannosi e sprovveduti nel senso vero della parola: ingenui, cioè non illuminati, ignoranti, in una parola dei “perdenti”.
Non è mia intenzione, intanto, tenere qui una lezione di alto senso della storia. Voglio semplicemente introdurre così il tema che mi sta più a cuore e che non ha mai smesso di interrogare la mia vita. Da qui il grande amore che ho sempre coltivato per la storia, non solo la storia del passato – sempre istruttiva, contrariamente a quello che dice Croce (ma lui lo diceva in senso “ironico”), ma anche e soprattutto la storia del presente. Voler essere “contemporanei”, come affermava il Card. Carlo Maria Martini, a costo di passare per sprovveduti e ingenui agli occhi di chi ha potere e coltiva il potere. Il mio tema, infatti, è antico e contemporaneo: se Dio esiste, perché la storia umana è quella che è? Se, come dice la Sacra Scrittura, Dio è con i poveri e i deboli, perché vincono sempre coloro che, con le buone o con le cattive, se la cavano meglio dei così detti “idealisti” sempre perdenti? Non è forse più sensato, a fronte di questo interrogativo, adeguarsi allo spirito del gregge che si appoggia ai furbi, agli intriganti, a coloro che non hanno scrupoli di sorta pur di viversi il loro egoismo? Ma qui proprio la storia sacra, la storia della “salvezza” – e intravedo qui la sua indistruttibile verità – diventa una discriminante senza possibilità di smentita: come gli Ebrei nel deserto, o Dio o il vitello d’oro. Ad ascoltare a fondo quell’interrogativo si finisce nelle braccia del vitello d’oro, nient’altro che un “idolo” fatto da mani d’uomo, e così si relega la fede – anche quella cristiana che è profondamente in continuità con quella degli Ebrei di quel lontanissimo passato – tra gli ideali impossibili che, per i realisti, non risolvono nulla ed anzi conducono alla rovina. Il mondo va come va, e nessuno può cambiarlo, nemmeno Dio e tutte le sue parole di “salvezza”. Dunque, al massimo si può vivere la fede come una “pia intenzione”, una consolazione terapeutica, un maquillage dell’anima che fa bene e aiuta a vivere. Ma niente di più. Il “Dio tappabuchi” evocato da Bonhoeffer. In molte persone che vivono, così dicono, nella Chiesa non è forse questo il loro Dio? Smesse pratiche religiose e preghiere, diventano tutt’altro che persone che hanno in Dio l’ancoraggio fondamentale della loro vita e delle loro scelte. Diventano realisti fino all’osso, e quindi seguaci del “vitello d’oro” che è lo stare con i piedi per terra, senza nemmeno interrogarsi se questo o quel modo di vivere è in dipendenza da quel Dio che vuole “salvare”, da quel Dio che non accetta accanto a sé nessun idolo, anche il più inoffensivo e perfino utile: la menzogna, il raggiro, la cattiva coscienza, pensare a salvare se stessi, voler essere “vincenti” e rispettati dal mondo. Altro che primato di Dio nella loro vita. Paradossalmente, - mi si perdoni la quasi bestemmia – Dio stesso, per queste persone (forse inconsapevoli o fuorviate dalle leggi crudeli del mondo) diventa un idolo tra gli idoli. Non è più il Salvatore per eccellenza. Forse esagero, indubbiamente esagero.
Ma anch’io, debbo confessarlo con franchezza e verità, ho sempre sentito nella mia vita di fede, e perfino dentro la Chiesa, questo richiamo del “vitello d’oro”: sì, la vita di fede va bene, ma poi bisogna fare i conti con la realtà, occorre accortezza ed equilibrio. Non si può vivere la fede fino alle sue ultime conseguenze che sono, come per i veri credenti Ebrei e per Gesù, rinunciare alle leggi del mondo e fare di Dio il nostro unico Signore. Ma ho sempre superato la tentazione pensando che anche Gesù avrebbe potuto venire “a patti” con i suoi oppositori e nemici – che sono anche gli oppositori e i nemici di Dio, anche se subdoli (dicono di agire negli interessi di Dio) – e magari mitigare, un poco o un tantino o tutto, il suo “messaggio”. Gesù non l’ha fatto, ed è finito sulla croce. Quanti realisti, in fondo, lo avrebbero “consigliato” invece di essere più prudente, più cauto e accorto sulle leggi della storia umana: appoggiarsi al potere e fare il più possibile, ma mai oltre. Il povero San Pietro, all’annuncio della sua Passione, fu uno di questi consiglieri, almeno per un momento. E terribile fu la reazione di Gesù - ma salutare per noi venuti dopo - : «va’ indietro, Satana, perché tu pensi come gli uomini e non secondo Dio».
Tutta questa storia sembra storia di ieri e invece ai miei occhi è storia di oggi. Luigi Zoja ha detto in un libro che sto leggendo (L. Boff – L. Zoja, Tra eresia e verità, Chiarelettere, 2014): “La crisi di credibilità che oggi la Chiesa attraversa è dovuta a ragioni interne, non esterne. Ho scritto a papa Francesco che occorre rifondare la Chiesa sulla Bibbia, non su Sant’Agostino. Bisogna chiudere con quest’epoca patriarcale e maschilista, dove la donna non conta niente e la sessualità è funzionale solo alla famiglia” (p. 126). Posso essere d’accordo che la crisi è interna alla Chiesa, al suo modo di vivere la fede (ecc.), ma diffido di soluzioni pronte e immediate che sono soltanto umane, troppo umane. Il vitello d’oro, come tutti gli idoli, ha molte facce e si presenta sempre seducente. Dov’ è il posto di Dio, se tutto è nelle nostre mani, nelle nostre “idee” anche le più giuste, in apparenza? Non dovremmo piuttosto ascoltare ciò che Dio, il Dio di Gesù, ha da dire sulla nostra vita, sul nostro destino, sulla nostra sessualità, senza per questo minimamente negare i diritti umani che gli uomini calpestano spesso fuori e dentro la Chiesa? La crisi è interna alla Chiesa, sì. Ma io leggo questa storia anche in altro modo (e mi sarebbe sembrato giusto che i due autorevoli personaggi vi avessero accennato almeno un poco!): è una crisi della fede, diventata come un granello di senapa, che non sa appoggiarsi a Dio, non ha completa fiducia in Dio, ma solo sulle risorse umane. Una fede “tappabuchi”, e con un tipo simile di fede il vitello d’oro diventa a portata di mano.
In questi dilemmi, ad un certo punto, mi sono imbattuto in un articolo, apparso su “Settimana” (n.15, 13 aprile 2014) che mi ha fatto riflettere sulla “discesa di Gesù agli inferi”. Lo leggiamo insieme, ma per me sono spariti tutti i dilemmi: cerco questo Dio e questo Gesù. Vadano alla malora, tutti i realisti che vorrebbero cambiare questo mio profondo, insopprimibile desiderio: cerco Dio, e la storia in un certo senso mi aiuta, è veramente “magistra vitae”.
 
Carmelo Mezzasalma, CSL
 

 

Powered by Hiho Srl
Questo sito utilizza i cookies, tecnici e di terze parti per ottimizzare l'esperienza di navigazione degli utenti connessi.

ACCETTO - DETTAGLI